“Io te dovevo sposare, altro che quel gommone” - dice Carlo Verdone osservando dalla finestra la bella signora dalla tuta nera di 7 Chili in 7 giorni, rimpiangendo amaramente di essersi unito in matrimonio con la paffuta Silvia Annichiarico e guardando con disgusto una "truppa di lardosi" che tenta goffamente di fare ginnastica.
Snobbato dalla critica paludata che lamentava la mancanza di ritmo e lo scarso spessore psicologico dei personaggi, 7 Chili in 7 giorni è in realtà un animale raro, un film che, pur mettendosi al servizio dei mattatori Verdone e Pozzetto, onora ogni singola parola di una sceneggiatura solida e ben scritta (da Leo Benvenuti, Piero De Bernardi e da Luca Verdone), che si fa beffe della mania delle cliniche dimagranti di metà anni '80, andando anche a scomodare quei borghesi piccoli piccoli, o meglio quelle maschere che, più che ricondurre ai personaggi dei primi film di Verdone, riportano ad Alberto Sordi, in primis al suo prof.