Per loro ero quella a cui le barzellette dovevano essere spiegate, e soprattutto quella che era stata bocciata al secondo e aveva fatto “il salto” dopo un anno di privata.
Quando la dottoressa ha letto la diagnosi, abbiamo iniziato a piangere uno dopo l'altro—prima io, poi mia madre, infine mio padre.
Non potevano immaginare quanta sofferenza ci fosse stata dietro, anche in famiglia—all'epoca mia madre aveva addirittura evitato di dire nonni della bocciatura, e del successivo periodo nella scuola privata ricordo soprattutto l’aria pesante che si respirava in macchina quando qualcuno mi veniva a prendere per tornare a casa.