Non sbaglia neanche stavolta, portando al Palast un altro film, come Tuya, di ambiente mongolo, e dunque ecco steppe senza confini, cieli immensi, vento a piegare l’erba, fieri cavalli selvaggi, yurte di meraviglioso design spontaneo, insomma tutto quanto lo spettatore d’Occidente mai sazio di esotismi si aspetta da un film mongolo.
Che poi il regista, il cinese Wang Quan’an, è un signore di solido mestiere con molti riconoscimenti alle spalle, e assai amato dalla Berlinale.