Il problema è che il cinema dello Shyamalan dei primi anni era giocato sulla creazione lenta e inesorabile della tensione, rispondeva ai dettami più classici nel far montare l’interesse e una certa angoscia nello spettatore, era tutto sussurrato con eleganza, quando in Split, e ora in Glass, è tutto urlato, ormai esplicitato e diluito.
L’alchimista Shyamalan tenta di negare l’inaridimento della sua vena creativa post 2005 chiudendo una trilogia che unisce un lavoro raffinato, esistenziale e filosofico, come Unbreakable, con il materiale di genere da discreto artigiano che costituisce l’ossatura, fragile come quella dell’uomo di vetro, di Glass.