Il suo nome era Gilbert, il memoir firmato da Keiko Takemiya e pubblicato in questi giorni da J-Pop in una bellissima edizione, non si limita ad essere un manga ma è una vera biografia di una mangaka di fronte al suo ruolo e alla sua persona, alla propria arte e alle proprie lettrici e lettori.
Nell’appartamento ribattezzato Salone Oizumi, si assiste a una sorta di micro-comune di mangaka, tutte giovani ragazze piene di vita e voglia di affermarsi come donne, conquistando i propri diritti, ma, anche e sopratutto come artiste, elevando i manga cosiddetti shojo, volgarmente definiti “per ragazze” (anche nel loro sottogenere dei boys love, ovvero dei racconti amorosi tra maschi omosessuali) al rango di lavori “importanti”.