In una stanza d’albergo circondata da una verde carta da parati a fiori, Saul (Marco Cacciola) è la rockstar celebrata dai media di tutto il mondo, unta dal beneficio del talento che oltrepassa il valore dell’umano, assecondando la relazione tra l’arte e il divino;
Ortoleva, con la collaborazione alla drammaturgia di Riccardo Favaro, compie la trasformazione in una chiave contemporanea che dal potere politico e militare del Saul biblico intravede un uomo vittima di una fama trita e indolente, in cui la paura di scomparire va di pari passo con il bisogno di restare, esistere anche solo come ripetizione, imitazione di un modello immoto, come forse induce a pensare lo schermo posto in alto che, come i due personaggi attorno a una scena cardine di scontro aperto ripetuta a farne schema inerte, continua a ripetere i titoli iniziali di un vecchio western – Saul e David – che ogni volta si interrompe e ricomincia da capo.