E negli Zingari di Koudelka si sente risuonare un tempo sopravvissuto persino allo sterminio hitleriano, un tempo in cui un musicista come Django Reinhardt straziava e erotizzava la chitarra suonandola con due dita in meno, e inventava un jazz che era decenni in anticipo sui tempi, un jazz che era tutto dentro l’eccitata estasi dell’improvvisazione (e vale la pena leggere una importante e bella biografia di Django Reinhardt, si intitola Django, è di Michael Dregni e la pubblica la Edt), un periodo che in realtà risaliva ancora a più lontano, alla musica zingaresca senza la quale Brahms sarebbe solo uno dei tanti, alla Madonna degli Zingari di Tiziano, agli zingari sacerdoti e profeti che appaiono nelle opere di Tiepolo affrescate sui soffitti aristocratici di mezza Europa, ai gitani e alle gitane di Picasso, e ai molti zingari felici che popolano le poesie di Cendrars e Apollinaire.