Merita una visione, non solo per la scoperta dell’impatto di Alida Valli nelle vite di amici e colleghi, e dei registi che l’hanno diretta, quasi con soggezione per quell’alone di mistero e ritrosia che in realtà mascheravano, come un velo sul suo sguardo unico e indimenticabile, la schiettezza e dolcezza di una donna alla costante ricerca d’affetto e passioni, ma anche per riscoprire la cronologia di una carriera che ha attraversato decenni di cinema, a partire dai telefoni bianchi (con conseguente nascita di schiere di ammiratori dilaniati nell’animo dalla guerra in corso) attraversando la Hollywood Classica e l’incomunicabilità di Antonioni, passando per l’inquietudine o la freddezza nazista dei ruoli per Dario Argento o i fratelli Bertolucci, fino a tanto cinema italiano di denuncia, con una parentesi teatrale salvifica in tempi di allontanamento forzato dal cinema.