La bidimensionalità, timbro con il quale Serra sembra aver voluto firmare questo Giardino, sconfina dal piano pittorico a quello contenutistico, appiattendo in una fotografia – o forse in un dagherrotipo – la vertiginosa indagine cechoviana, emotiva e psicologica, di un gruppo di esistenze colte nell’istante di declino di un mondo.
Secondo un logoro aneddoto, Čechov reagì con stupore, addirittura indignazione, alla cifra con la quale Stanislavskij e Nemirovič-Dančenko restituirono sul palcoscenico del Teatro d’Arte di Mosca il testo del Giardino dei ciliegi, in quel gennaio 1904 nel quale i tre rivoluzionari delle arti sceniche sembravano interpretare, per l’ultima volta, un’irripetibile triangolazione di genialità.