Il film riesce a trasmettere in poco più di un’ora e mezza l’essenza di Letizia Battaglia, o almeno a raccontarla, per chi non la conoscesse ancora o non ne avesse approfondito l’importanza nella vita pubblica e sociale del nostro paese, non tralasciando la parentesi politica nei Verdi, per quanto questa abbia rappresentato una delusione e un disagio ,trattandosi si di una realtà, ma troppo distante emotivamente e sicuramente di minor impatto nella sua esistenza, rispetto alla realtà immortalata nelle sue immagini, una su tutte Luciano Liggio in tribunale, incatenato al poliziotto che diventa quasi piccolo in suo confronto, quasi ad invertire i ruoli di fronte alla inquietante presenza di quel capo clan, presenza in grado di farle tremare l’obiettivo e rendere imperfetta ogni altra foto di quella giornata… Alta cronaca di vita, questa volta però nel quotidiano dell’anno appena trascorso forzatamente tra le mura di casa mentre fuori la natura faceva il proprio corso, quella narrata da Elia Moutamid, già ospite in passato del Festival del Garda, che nel film Kufid racconta le giornate d’attesa, con la telecamera fissa come una macchina fotografica, a fermare le immagini di uno stesso cielo, che accomuna Fez, alle origini della famiglia del regista, e Brescia, dove ha sempre vissuto e che è la sua vera casa sebbene le radici tornino a farsi sentire più forti che mai in tempi di distanze tra familiari e amici, tutti accomunati dall’alone onnipresente di Kufid, il virus co-protagonista e titolo del film, al quale il regista si rivolge, rendendolo qualcosa di diverso per ognuno di noi nelle reazioni e nel rapporto intercorso con la pandemia, ma che di questi tempi accomuna tutti più di qualsiasi altro tentativo di integrazione.